«Friuli e ripresa, per ripartire serve un nuovo modello di sviluppo»

«Una premessa. Di mestiere non facciamo le cassandre e siamo i primi che vorrebbero essere smentiti dai numeri, se questi indicassero un aumento dell’occupazione. Ma purtroppo questo aumento non c’è, in particolare in provincia di Udine, dove il 2015 si è chiuso con una perdita di 3.700 occupati rispetto al 2014». A parlare è Villiam Pezzetta, segretario generale della Cgil di Udine, che definisce «una doccia gelata» gli ultimi dati Istat sul mercato del lavoro: «Nel commentarli ““ dichiara ancora Pezzetta ““ qualcuno, come l’assessore regionale al Lavoro, ha peccato di ottimismo, enfatizzando un recupero che sul 2014, a livello Fvg, è stato di appena 600 posti, pari allo 0,1%. Ma il territorio più grande e rappresentativo, quello di Udine, subisce una flessione dell’1,7%, con quasi 4.000 posti in meno e una crisi che resta sotto gli occhi di tutti. Lo dimostra l’edilizia, che a gennaio ha fatto segnare un’ulteriore flessione superiore al 20% degli occupati, con troppi cantieri fermi e un’azienda storica come la Vidoni sull’orlo del baratro. Lo dimostrano centri commerciali un tempo fiorenti e oggi semivuoti. Lo dimostra un export che sembra aver già  frenato nella sua risalita».
Edilizia e centri commerciali: non è un caso se Pezzetta parte da qui. «Se il manifatturiero è la locomotiva dell’economia, l’industria delle costruzioni e la distribuzione sono due settori sui quali la Regione e gli enti locali hanno in mano leve importanti, che possono incidere non poco sulle prospettive di ripresa. E sono anche due settori chiave per un cambio di paradigma che ritengo indispensabile per uscire dall’impasse: una svolta che ponga fine a un’epoca tutta basata sul mero consumo del suolo e metta in pratica concetti predicati da tutti ma ancora poco praticati come il recupero dei centri urbani, la messa in sicurezza del territorio e del patrimonio residenziale pubblico, gli investimenti sulle infrastrutture. Tutti interventi che possono far ripartire il volano dell’edilizia, con immediate ricadute su tutto il manifatturiero e sull’occupazione, supportando la crescita e migliorando la qualità  del territorio, con un impatto positivo anche sul turismo».
Gli esempi non mancano: «Senza scomodare la terza corsia ““ prosegue il segretario ““ posso citare il raddoppio della Udine-Palmanova, per accorciare i tempi di collegamento con Trieste e con l’aeroporto di Ronchi, schiacciato dalla concorrenza di Venezia e Treviso anche a causa dei pessimi collegamenti ferroviari, le opere prevenzione del rischio idrogeologico in montagna, gli interventi sulla riduzione delle perdite della rete idrica e sui sistemi di depurazione, sui quali esiste peraltro un rischio concreto di sanzioni Ue, la messa in sicurezza nelle scuole, ma l’elenco è lungo. Si tratta di investimenti che avrebbero sicure ricadute nel medio-lungo periodo, oltre a generare un effetto immediato sul Pil e sull’occupazione. Così come è fondamentale anche far ripartire le centinaia di piccoli cantieri bloccati dal patto di stabilità  e dare impulso a strumenti come i lavori socialmente utili, preziosi come paracadute occupazionale, ma ancora più importanti se indirizzati verso opere con una ricaduta diretta sulla qualità  della vita e del territorio».
Anche i Comuni e soprattutto la Regione, quindi, hanno le proprie carte da giocare. «La ripresa non si crea a colpi di spesa pubblica ““ commenta ancora Pezzetta ““ ma la mano pubblica può dare una spinta importante. Che diventa fondamentale in quei settori che adesso mostrano la corda come il commercio, dove la crescita sregolata delle grandi superfici, sulle quali il Friuli vanta un poco invidiabile primato nazionale, non ha certo contribuito al rilancio dei consumi, ma solo accelerato la cannibalizzazione della piccola distribuzione, l’impoverimento dei centri storici e l’abbandono della montagna». Ecco perché la Cgil spera che la nuova legge regionale sul tetto alle aperture festive possa essere l’inizio di un’inversione di tendenza rispetto alla deregulation del passato : «A chi, come Federdistribuzione, arriva alla provocazione di dire che le aperture festive fanno bene ai lavoratori, rispondiamo che qualche regola in più farebbe bene proprio a chi ha sostenuto e continua a sostenere il far-west degli orari, delle licenze e delle concessioni. Che magari possono portare business e anche lavoro nel breve periodo, ma poi rischiano di lasciare il deserto commerciale, occupazionale e ferite difficili da rimarginare non solo nei bilanci, ma soprattutto sul territorio».