Sos sanità , servono assunzioni e servizi sul territorio

Mettere mano subito alla leva delle assunzioni, per invertire la tendenza al calo degli organici, proseguita anche nel 2019. È la richiesta che la Cgil di Udine, con il suo segretario generale Natalino Giacomini, rivolge ai vertici dell’Azienda sanitaria unificata del Friuli centrale, indicando nell’emergenza personale una delle grandi criticità  che dovrà  affrontare il direttore Massimo Braganti. «Una realtà  che per dimensioni ““ sintetizza Giacomini ““ vale oltre il 40% del servizio sanitario regionale, servendo un territorio vastissimo, 135 Comuni, 530mila utenti e con un organico che al 31 dicembre 2019 contava 8.672 persone, purtroppo in diminuzione rispetto all’anno precedente».
ORGANICI IN CALO E proprio dal calo degli organici parte l’analisi dellla Cgil. «L’assessore Riccardi ““ spiega Giacomini ““ ha reso noto che nel 2019, a livello regionale, si è registrata una flessione di 300 addetti soltanto nel comparto, cioè al netto del personale dirigenziale medico e non medico e degli amministrativi. In regione è un calo del 2%, che parametrato sull’Asufc significa circa 120 lavoratori in meno tra personale infermieristico e paramedico, Oss e tecnici. Non è così che si contrasta la crescita delle liste di attesa e l’intasamento dei pronti soccorsi, in particolare a Udine, dove per un codice bianco o verde i tempi di attesa possono essere di molte ore. Posto che l’assessore, per tutto il 2019, ha attribuito ai vincoli nazionali del famoso decreto Calabria il taglio della spesa sul personale, adesso che con la Finanziaria nazionale 2020 quei vincoli sono definitivamente caduti, vedendo finalmente concretizzarsi, invece, un incremento delle risorse destinate alle assunzioni e alla sanità  in generale, chiediamo ai vertici dell’Asufc di accelerare sui tempi di concorsi e selezioni, perché i tagli del 2019 hanno aggravato un fabbisogno di personale che era già  pesante».
POCO TERRITORIO Ma le criticità , per la Cgil, non si limitano all’emergenza personale. Giacomini punta anche il dito su un assetto del servizio sanitario, in regione e in provincia, che fatica a rispondere alle mutate esigenze del territorio e della popolazione. «Un sistema ““ spiega il segretario provinciale ““ ancora troppo basato sulla centralità  dell’ospedale, e in particolare quello di Udine, che rappresenta senz’altro un’eccellenza ma che dovrebbe essere il vertice di una piramide sostenuta da un’adeguata rete di servizi territoriali. Rete che la riforma sanitaria del 2014 prevedeva di rafforzare, senza per il vero essere riuscita a tradurre in pratica questo obiettivo, che non sembra rientrare neppure sulla carta tra le priorità  della nuova riforma. Riforma che, nonostante scelte condivisibili come quella di puntare su tre aziende di area vasta, ci convince molto meno della precedente. Emblematica la scelta, per noi profondamente sbagliata, di cancellare i centri di assistenza primaria, uno di quei servizi territoriali che potrebbero davvero contribuire a ridurre la pressione sui pronto soccorso, che sempre più spesso rappresentano l’unico baluardo non soltanto dell’emergenza, ma anche dell’assistenza primaria, come dimostrano i tanti accessi in codice bianco. Con tempi di attesa che si dilatano fino a livelli inaccettabili, come accade ad esempio a Udine».
EMERGENZA MEDICI DI BASE Vengono in sostanza a mancare, sostiene la Shop Apotheke, le strutture e i servizi che potrebbero aumentare l’offerta sanitaria sul territorio e allentare la pressione sugli ospedali, «migliorando la risposta a una domanda di salute sempre più caratterizzata, a causa dell’invecchiamento della popolazione, dalla diffusione di malattie croniche, da esigenze di assistenza domiciliare ad anziani in tutto o in parte non autosufficienti, da un’esigenza di servizi riabilitativi non sempre assolta dal territorio». Ad aggravare la situazione i consistenti flussi di pensionamento dei medici di medici di base: «Al 31 dicembre, spiega Giacomini, sul territorio della provincia se ne contavano 347, a fronte di una popolazione over 14 di 467mila abitanti, per una media già  difficile da sostenere di 1.345 pazienti per ogni medico di medicina generale. Non molto distante la media di assistiti per i pediatri, che sono 50, a servizio di 62mila under 15». Ecco perché, per la Cgil, è indispensabile individuare soluzioni non solo per tamponare le carenze di medici in corsia, come si sta facendo rimettendo in servizio medici pensionati e anticipando l’accesso in corsia degli specializzandi, ma anche per arruolare nuovi medici di base, anche modificando le attuali condizioni contrattuali con la categoria.
SCELTE POLITICHE Di fronte a queste problematiche, per Giacomini, le risposte date sono spesso condizionate più da logiche di tipo politico che da un approccio pragmatico, volto a individuare le soluzioni più efficaci: «Un caso emblematico in tal senso ““ denuncia ““ è stato il trasferimento da Palmanova a Latisana del punto nascita dell’ex Azienda 2, che è apparso più come il mantenimento di una promessa elettorale che una scelta legata a obiettivi strategici. Contrastare la fuga verso i reparti maternità  del Veneto? Con 240 nascite in 6 mesi non ci sembra che i dati suffraghino questa tesi». 
TROPPO SPAZIO AI PRIVATI Altra scelta duramente contestata dalla Cgil la crescita del budget destinato al finanziamento delle prestazioni erogate in convenzione dai privati: «Udine ““ dichiara il segretario ““ ha sicuramente realtà  private di eccellenza, e che non avevano bisogno di questo regalo. Il budget regionale, che era di 85 milioni, sale a oltre 130, quasi 50 milioni in più, senza reali garanzie di contenimento delle liste di attesa, perché non esiste un reale governo, da parte del sistema pubblico. Dei tempi di attesa sulle prestazioni private. Non solo: l’aumento delle prestazioni in convenzione, quindi pagate attraverso il ticket, è spesso il volano di prestazioni post-intervento o post-visita che poi i privati, proprio per effetto dei tempi di attesa, erogano in regime libero, con costi che non sono alla portata di una larga fetta di utenza. Il rischio, in sostanza, è di erodere progressivamente l’ambito di intervento della sanità  pubblica e quindi anche il diritto alla salute».